CAPPELLA BESSARIONE BASILICA SS. APOSTOLI – ROMA

Proprietà del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’Interno. Gestione a cura di Spazio Libero società cooperativa sociale. Apertura al Pubblico Venerdi e Sabato ore 9:00 – 12:00 Previa prenotazione

La Cappella Bessarione apre per la prima volta al pubblico mostrando la sua ricca decorazione pittorica finora celata e recuperata grazie ad un intervento finanziato dal Fondo Edifici di Culto del Ministero dell’Interno, ente proprietario, ed eseguito dalla Soprintendenza per i Beni Artistici e la Soprintendenza per il Polo Museale Romano tra il 1989 e il 2005. Il moderno allestimento, malgrado le ridottissime dimensioni spaziali dell’ambiente, ha saputo offrire ai moderni visitatori con la realizzazione di una passerella metallica sospesa a mezza altezza un insolito e incomparabile punto d’osservazione per ammirare il capolavoro rinascimentale nel suo complesso e fino ai suoi più minuti e vivi dettagli.

La Storia:

La cappella funebre del Cardinal Bessarione, dedicata alla Madonna, ai Ss. Michele, Giovanni Battista ed Eugenia, rappresenta uno dei luoghi più importanti per la storia della pittura del ‘400 a Roma. Gli affreschi furono eseguiti (1464-1468) da Antoniazzo Romano (Antonio Aquili) con la collaborazione di Melozzo da Forlì per l’illustre umanista, cardinale dal 1439 al 1449 del titolo dei Ss. Apostoli.

Nel corso dei secoli la cappella ha subito avverse vicende. Coperti da una mano di calce, già nel 1545, per i gravi danni causati dalle continue inondazioni del Tevere e dal sacco lanzichenecco, gli affreschi furono in parte obliterati (1650) dal monumentale altare di S. Antonio, che Carlo Rainaldi addossò all’abside della cappella stessa e definitivamente perduti con la costruzione della attuale cappella Odescalchi (1719-23) di Ludovico Rusconi Sassi. La sua esistenza, rimasta nota attraverso alcune descrizioni seicentesche, fu scoperta solo nel 1959 dall’architetto Clemente Busiri Vici nel corso di alcuni lavori di manutenzione del lato di Palazzo Colonna attiguo alla basilica.

GLI AFFRESCHI: LE STORIE DI S. MICHELE ARCANGELO

Dalle descrizioni antiche sappiamo che il ciclo pittorico doveva comprendeva dal basso verso l’alto le storie di Giovanni Battista (oggi perdute e già in antico sostituite da scialbe raffigurazioni sacre); le due storie dell’arcangelo Michele (visibili) e culminare in alto con la presentazione dell’uomo al Cristo trionfatore, circondato dalle nove schiere angeliche (solo in parte conservato).

Particolarmente importante per la valenza simbolica storica e teologica è il grande affresco centrale dedicato a due celebri episodi legati alle apparizioni dell’Arcangelo Michele. S. Michele rappresenta nell’iconografia cristiana l’angelo guerriero e demiurgo che guida l’uomo verso la salvezza, invocato da sempre come protettore contro il male e specificatamente nella lotta contro i Turchi.

A sinistra, è l’apparizione dell’Arcangelo nelle sembianze di un toro presso la città di Siponto nel Gargano; a destra, il sogno di S. Auberto a Mont Saint Michel nel golfo di Saint Malo in Bretagna, sede di un altro importante santuario dedicato al Santo.

Nel riquadro sinistro è ben riconoscibile la città di Siponto, cinta da mura, ed il paesaggio montuoso con la grotta di Monte Sant’Angelo sul Gargano dove all’epoca di papa Gelasio I (V secolo) sarebbe avvenuta l’apparizione dell’Arcangelo nelle sembianze di un toro, che miracolosamente respinge le frecce scagliate dagli arcieri. Si attribuisce la scena alla mano di Antoniazzo con l’intervento di Melozzo per la figura del toro e dell’arciere in abito viola sulla destra della composizione.

A destra è una scena storica di più complessa lettura alla quale merita dedicare maggiore attenzione.

La sottostante didascalia APPARITIO EIUSDEM IN MONTE TUMBA permette di riferire la pittura alla leggenda francese di S. Michele e alla sua apparizione in sogno a S. Auberto, vescovo di Avranches, rappresentato benedicente in sontuosi paramenti sacri al centro di una processione di dignitari.

Attendono la processione, raffigurati in primo piano ed attribuiti alla mano di Melozzo da Forlì, due prelati a capo scoperto e di spalle, vestiti con piviali d’oro arabescati e sullo destra, due gruppi salmodianti di sei frati francescani e cinque monaci basiliani orientali in abito nero.

Sullo sfondo, l’insenatura marina con tre imbarcazioni; sulla destra una collinetta, dall’alto della quale assiste alla scena un toro legato ad un albero, che simboleggia lo stesso Arcangelo Michele, che esorta a fondare il monastero.

Le conchiglie visibili sulla spiaggia ci permettono di collocare la scena sulla spiaggia di Mont Saint Michel, raggiungibile dalla costa a piedi solo durante la bassa marea.

La scena sembra alludere con esplicito riferimento al tentativo politico perseguito in quegli anni da Bessarione di coinvolgere Luigi XI, re di Francia, all’epoca monarca dello stato più ricco e militarmente potente, in un’ultima crociata, che di fatto però non fu realizzata, per liberare Costantinopoli caduta in mano ottomana nel 1453 e per riunire la chiesa latina e greca (rappresentate nella loro unità sull’affresco dalla presenza dei basiliani e dei francescani). Nella speranza di ottenerne l’appoggio, significativamente si attribuiscono al vescovo S. Auberto le sembianze del monarca francese. Di fatto, solo quest’ultimo per il dotto cardinale è il grado di poter difendere la cristianità e liberare il toro, ossia S. Michele, rappresentato legato a causa dell’immobilismo della Francia. Tra il corteo dei partecipanti alla processione è possibile riconoscere due importanti personaggi dell’epoca di Bessarione: Francesco Maria Della Rovere, futuro Sisto IV, identificato nella figura alle spalle del santo vescovo, vestita di rosso porpora ed il ritratto del nipote dello stesso, Giuliano Della Rovere, futuro Giulio II, in abiti viola. Fondamentale per la comprensione del ciclo pittorico è la personalità del suo committente, Giovanni Bessarione. Il monaco basiliano, nato a Trebisonda nell’odierna Turchia 1403 e morto a  Ravenna nel 1472, viene a ragione considerata una delle figure chiave del Rinascimento italiano. Illustre prelato e protagonista della scena politica, fu soprattutto un importante umanista filoplatonico e uomo di cultura, la cui casa divenne presto un centro dell’umanesimo rinascimentale, luogo d’incontro tra letterati e studiosi. Famoso è il suo impegno per l’unificazione della chiesa orientale con la chiesa di Roma (Concilio di Ferrara-Firenze 1438 e Concilio di Mantova 1459) e la sua incessante azione diplomatica, tesa alla creazione di una lega offensiva per liberare Costantinopoli e difendere tutto l’oriente dall’espansionismo turco. Impresa che non trovò tuttavia l’adesione dei Principi europei, che alla metà del XV secolo consideravano troppo rischioso l’intervento, non più sostenuto dagli ideali religiosi delle prime crociate. L’ultima delusione in ordine di tempo fu per Bessarione proprio il rifiuto da parte del potente monarca francese Luigi XI di aderire all’impresa, alla realizzazione della quale aveva dedicato tempo ed energie.

In questo senso il ciclo pittorico della cappella funebre può considerarsi una sorta di testamento spirituale a cui il cardinale affida le personali convinzioni religiose e le speranze di un nuovo assetto religioso e politico del mondo contemporaneo.

IL CORO DEGLI ANGELI

Nel registro superiore è riapparso dopo il restauro una parte delle nove schiere angeliche, che circondavano la figura del Cristo trionfante, di cui non resta, purtroppo, nulla. Anche il coro degli angeli, ispirato non solo teologicamente alla tradizione medievale, viene attribuito ad Antoniazzo Romano e bottega in collaborazione con Melozzo da Forlì. In alto si conserva un frammento superstite del manto di Cristo eseguito dallo stesso Antoniazzo.

LO STILE

Sebbene l’incarico risulti affidato ad Antoniazzo, è indubbia la partecipazione ai lavori della sua bottega.

Nell’insieme il ciclo risulta artisticamente composito e la mano del maestro può chiaramente individuarsi solo nei personaggi posti in primo piano nella scena di destra.

In queste opere Antoniazzo si rivela pittore versatile, influenzato nella perfetta sintesi di luce, forma e colore dal grande Piero della Francesca senza esasperarne la ricerca di prospettiva.

I suoi paesaggi ed i suoi personaggi sono permeato dei valori  naturalistici umanistici.

Da notare lo scarto qualitativo e le differenze di esecuzione tra le due scene e il coro sovrastante.

Si passa dai magnifici ritratti della scena di destra, riconducibili alla cultura di Piero della Francesca e Benozzo Gozzoli, ad una mano più lineare e dinamica nella scena di sinistra, ai fondi di paesaggio dallo stile semplice ed ingenuo, ma ricco di suggestione ed infine lo stile – ancora influenzato dal gotico internazionale – di alcuni angeli della calotta (quelli di profilo e con la chioma a riccioli).

LE INDAGINI ARCHEOLOGICHE

Nel 1996 sono stati condotti scavi archeologici che hanno permesso di individuare sul fondo della cappella ben tre diverse stratificazioni fino a giungere alla pavimentazione originaria della primitiva basilica.

  1. Livello della primitiva basilica dei papi Pelagio I e Giovanni II (seconda metà del VI d.C.) con resti della pavimentazione in opus sectile tessellatum ad una quota di m 1,40 sotto l’attuale piano di calpestio della chiesa.
  2. Livello della originaria cappella Bessarione posti a circa m 0,80 sotto l’attuale quota di calpestio della chiesa con resti della pavimentazione in mattonelle esagonali in fase con la decorazione pittorica di cui è emersa parte dello zoccolo.
    A questa fase appartiene l’edicola marmorea che si vede ora ricostruita a un livello superiore e destinata a contenere la tavola della Madonna con Bambino di Antoniazzo, ora collocata sul primo altare della navata destra e sostituita da copia.
    Tra la fine del ‘500 e inizi del ‘600 il rialzamento della pavimentazione della cappella comportò la distruzione del registro inferiore degli affreschi  antoniazzeschi sostituiti dalle attuali e mediocre raffigurazioni delle sante Eugenia e Claudia.
  3. Livello dell’ultima fase della basilica prima della costruzione della Cappella Odescalchi (1719). Nel muro di fondo della cappella era stata lasciata un’apertura attraverso la quale si può vedere una magnifica vasca in porfido rosso di età imperiale destinata a contenere le reliquie delle sante Eugenia e Claudia (traslate in questa chiesa dal cimitero di Aproniano sulla via Latina nel corso del IX d.C.). Sono relativi a quello livello i resti di una tomba (di fronte accesso inferiore) e di una struttura muraria semicircolare che costituiva la fondazione absidale di una cappella appartenente al progetto di ricostruzione della chiesa di F. Fontana (1701).

Nelle quattro vetrine disposte sui due livelli del percorso è esposta una selezione dei materiali più rappresentativi rinvenuti nel corso dell’indagine archeologica: materiali ceramici, lapidei, laterizi di età romana, medievale e rinascimentale.

Bibliografia: V. Tiberia, “Antoniazzo Romano, per il Cardinale Bessarione a Roma”.

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